Ordinazione di uomini sposati al ministero presbiterale


di Jean Rigalin “www.baptises.fr” del 15 marzo 2017 (traduzione: http://www.finesettimana.org)

In seguito a un’intervista a papa Francesco, si ripropone la questione dell’ordinazione presbiterale di uomini sposati. Non è una novità, ma la diminuzione brutale del numero dei preti, almeno in Occidente, le dà un nuovo rilievo.
Occorre ricordare un principio di base: nessun impedimento dogmatico si oppone a tale ordinazione, come prova la pratica della Chiesa nel corso dei secoli, e oggi quella delle Chiese d’Oriente unite a Roma. In altre parole, è essenzialmente una questione di opportunità pastorale. Nel XIII secolo, Tommaso d’Aquino scriveva: “Dio non abbandonerà mai la sua Chiesa al punto che non possa trovare ministri qualificati in numero sufficiente per provvedere alle necessità dei fedeli”. Papa Francesco si inserisce in questa apertura quando dichiara prudentemente che una riflessione a questo proposito “potrebbe essere utile”.

Il riproporsi della questione non rimette in discussione il significato del celibato per i preti, in quanto dà un volto al Cristo, il Buon Pastore, interamente dedicato al servizio dell’Evangelo. Ma bisogna ricordare che è importante distinguere l’esercizio del ministero da uno stato di vita determinato (nello specifico, quello di celibe o di sposato), anche se lo stato di vita dà per forza un certo tono all’esercizio del ministero.

L’appello al diaconato permanente per uomini celibi o sposati è diventato realtà. Perché non pensare ad una procedure analoga per il presbiterato in rapporto a dei “viri probati”, cioè a degli uomini “che hanno la loro esperienza”. Un tentativo potrebbe essere fatto e poi valutato sotto la responsabilità delle conferenze episcopali, tenendo conto del contesto locale, diverso a seconda delle regioni. Sarebbe un ritorno all’antica tradizione. Non vi vedo una “soluzione miracolo”, anche perché mi sembrano più importanti e profonde le questioni riguardanti la fede nel nostro mondo secolarizzato.

Questa pratica porterebbe a definire un profilo diverso di prete, e a prevedere una formazione adeguata, che dovrebbe essere studiata e definita, come per il diaconato permanente.
Mi sembra importante che questa apertura sia attenta alla missione specifica di queste nuove forme di ministero. Conosciamo il pericolo di ordinare preti solo “per la messa”, al di fuori di ogni prospettiva ecclesiale e missionaria. Il ministero dei preti è fondamentalmente una funzione pastorale che include formalmente la presidenza eucaristica, ma va anche al di là. Presiedere alla costruzione della Chiesa è allo stesso tempo servire la dimensione profetica, liturgica e missionaria nel mondo così com’è. Il servizio della Parola di Dio e la celebrazione dei sacramenti sono luoghi privilegiati della “comunione ecclesiale”. Ordinare preti solo per “dire delle messe” riflette una misera concezione dell’eucaristia e del ministero.
“Dei preti per che cosa?”, è, a mio avviso, ciò che ci dobbiamo chiedere prima di tutto.

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